Ghemme, 6 Marzo 1945

Caduti: Carmelo Ardizzoia, Frediano Bagnati, Adriano Barbero, Ernestino Boschi, Ernesto Bovio, Benami Miglio, Luigi Prandi, Pietro Sassoni, Mario Tosi, Luigi Vandoni.

WASS IST LOS?

(che cosa succede?) 

E’ il 3 marzo del ’45. Verso il tramonto compare nel cielo un piccolo caccia tedesco, volteggia alcune volte a bassa quota su Gemme e, infine, riesce fortunosamente ad atterrare, ai margini del paese, su un ex campo d’atterraggio reso impraticabile dai tedeschi per evitare che gli alleati se ne servano.

Sia il podestà Guido Crespi che il coadiutore della Parrocchiale dell’Assunta, don Angelo Stoppa, a colloquio dinanzi ad una finestra dello stabilimento ‘Secondo Salto’ avvistano l’apparecchio, ne osservano le manovre e il fortunoso atterraggio.

Podestà e Coadiutore si recano immediatamente sul luogo dell’atterraggio e si trovano di fronte al pilota che, sceso dall’aereo, sta guardandosi attorno. Il Podestà, che conosce la lingua tedesca, si rivolge al pilota per conoscere il motivo che lo ha indotto ad atterrare nell’ex campo militare in condizioni di impraticabilità; il pilota spiega che, partito da Monaco e diretto a Gallarate, ha sbagliato rotta e l’aereo è rimasto senza carburante, tanto da costringerlo ad un atterraggio di fortuna.

Sopraggiungono due partigiani garibaldini della Volante Loss, invitano Guido Crespi e don Stoppa a farsi da parte; il pilota, fatto un balzo indietro, estrae prontamente la pistola gridando “Wass ist los?”, ma è preceduto da uno dei due garibaldini che lo abbatte con un solo colpo. Una raffica di mitra nel serbatoio provoca l’incendio e la distruzione dell’aereo.

La salma del pilota tedesco viene portata all’Ospedale della Provvidenza ove viene approntata la camera ardente.

Tutti gli uomini, giovani e anziani, si allontanano dal Paese rifugiandosi nei vigneti o nelle boscaglie della collina; si teme che l’uccisione di un tedesco possa provocare, infatti, la rappresaglia.

Il Podestà e il Coadiutore, accompagnati dal geom. Frascotti, che è il segretario comunale, vanno immediatamente al Comando fascista di Fara per tentare di convincere il cap. Famà a non infierire sulla popolazione di Ghemme, ma non ricevono udienza perché sono già le 21.

Il 4 marzo, in mattinata, giunge a Ghemme una camionetta militare preceduta e seguita da macchine cariche di tedeschi; dalla camionetta viene prelevata la cassa in cui gli stessi soldati tedeschi depongono la salma del pilota; si forma il corteo funebre e, nel tentativo di placare la rabbia dei tedeschi, tutta la popolazione vi partecipa.

Prelevati e trasportati a Novara, Don Stoppa e il podestà Crespi vengono sottoposti ad un lungo interrogatorio; rilasciati il Coadiutore ed il Podestà vengono assicurati che non vi saranno rappresaglie. La popolazione ritiene sia grazie alla partecipazione al funerale.

Il 5 marzo, a Ghemme, non si nota alcun movimento fuori dalla normalità; gli uomini ritornano a casa e al lavoro. Il 6 marzo, alle ore 8, entrano in Ghemme due grossi automezzi carichi di tedeschi e fascisti; in mezzo a loro vi sono dieci giovani, coi volti segnati da profonde ferite, coi vestiti laceri ed imbrattati di sangue.

Si viene poi a sapere che i dieci giovani sono stati catturati, in una imboscata, alla Bertinella Nuova, una cascina di Bellinzago Novarese, l’8 febbraio del ’45, da reparti del Comando tedesco di Turbino che li aveva rinchiusi nella caserma del ‘54’ e poi tradotti alle carceri di Novara.

Prelevati dai tedeschi il Prevosto don Forni, il Podestà Guido Crespi, il Segretario Comunale geom. Frascotti, gli automezzi si avviano al campo di atterraggio, non appena a terra, il ventunenne garibaldino della Volante Loss Luigi Prandi tenta la fuga, ma viene abbattuto da una raffica di mitra; don Forni viene colpito da una pallottola alla mano e viene accompagnato all’Ospedale dal Segretario Comunale. Don Stoppa prende immediatamente il posto del Prevosto ed in una sua nota (pubblicata sull’Azione dell’8 marzo 1946) si legge:

“…Nessuno dei condannati batte ciglio, ma i loro occhi sereni si posano su di me sacerdote che essi sentono amico: io m’interpongo presso il maggiore tedesco comandante del plotone per implorare la grazia, ma dal tedesco più duro e più impassibile di un macigno ottengo, con una fredda risposta negativa, il permesso di svolgere il mio sacerdotale ministero, ma nel modo più celere..”

Interviene anche il Podestà per tentare di salvare la vita almeno del più giovane dei condannati a morte, Miglio Benami, che ha solo quindici anni; ma il comandante tedesco ribatte: “Oh, 15 anni… con un fucile in mano può ammazzare anche lui”.

Borgonovo, l’interprete, dà lettura della sentenza di condanna a morte. Il plotone di esecuzione –14 fascisti e 4 tedeschi – è già schierato dinanzi ai condannati.

Il grido di “Viva l’Italia libera” si confonde con il crepitio delle raffiche di mitra, ma proprio il giovanissimo garibaldino, rimasto in piedi, riesce a gridare ancora, prima di essere abbattuto da una seconda raffica, “Viva l’Italia libera”.

Chi sono i fucilati?

Carmelo Ardizzoia di Barengo; Frediano Bagnati, diciottenne, operaio panettiere di Bellinzago; Adriano Barbero, diciottenne, operaio, di Bellinzago; Ernesto Bovio di ventidue anni, contadino, di Bellinzago; Benami Miglio, quindicenne, operaio di Bellinzago; Boschi Ernestino, diciassettenne, garzone di macelleria, di Novara; Piero Sassoni di trentadue anni, rilegatore, di Novara; Mario Tosi, diciottenne, operaio, di Bellinzago e Luigi Prandi, ventunenne, operaio meccanico, di Bellinzago, assassinato mentre tenta la fuga.

E’ il comandante nazista che ordina: “Portare via subito i corpi, portarli al cimitero con un carro. Provvedere le bare, sotterrarli immediatamente, senza lacrime, senza rito, senza preghiere e senza nessun accompagnamento… Entro le 13; in caso di trasgressione, impiccheremo dieci persone al balcone del Municipio”.

Il commento di un milite nero:

“Che peccato non averne qui ancora altri cinquanta da fucilare”